L’ultima sua mostra è stata questo autunno nella chiesa pugliese di San Salvatore, ottanta bozzetti pubblicitari originali, legni e i famosi omini firmati Aguìn. Prima c’era stata la proiezione di un suo disegno (Alka Selzer) sui cartelloni luminosi di Times Square, a New York, mentre il manifesto da lui realizzato per la Mostra d’architettura di Berlino era divenuto uno dei loghi scelti dal mensile New Yorker per illustrarla. Adesso, un agile volumetto, Aguìn, disegni (Lithos edizioni, pagg. 42, euro 10) ripercorre un ventennio artistico dove la grafica cartellonistica diventa pura creazione slegata da qualsiasi intento commerciale, omaggio a un mondo scomparso che pure segnò una svolta nella moderna comunicazione pubblicitaria.Barese, quarantenne, figlio dello storico contemporaneista Nico Perrone, Aguinaldo (Aguìn) Perrone raccoglie in pochi tratti, rigorosamente rossi e blu, la magica ironia della réclame. Ciò che di essa lo attrae è l’idea della comunicazione come arte, capacità di coniugare leggerezza, divertimento e disincanto. «Prendiamo la caffettiera della Bialetti – mi dice – quella dell’omino coi baffi disegnato dal grande Paul Campani. Ecco, ha attraversato i tempi, è diventato il prodotto stesso, tanto da non essere stato cambiato ancora oggi. È solo un esempio, se ne potrebbero aggiungere altri. Dal primo ’900 sino ancora a tutti gli anni Sessanta, c’è stata in Italia una forma artistica innovativa quanto geniale, assolutamente moderna, di cui oggi ci rendiamo conto proprio verificandone l’assenza. È rimasta la pubblicità, ma non c’è più il segno distintivo atto a rendercela impressa. Viviamo in un mondo di immagini e non più di segni, tanto più caotico e in continuo divenire, quanto più alla fine anonimo».Nel suo libro Aguìn rivive e riscrive come personaggi le insegne del tempo del consumo. Dal Vov al Fernet, da Ingram alla Motta, da Cora all’Aspirina, le lettere e gli schizzi degli oggetti vengono scomposti e frullati in un caos geometrizzante che sa di parodia futurista, il dinamismo di omini, pupazzi, clown, donne fatali, bollicine… È il suo un mondo pubblicitario fantastico dove ai marchi veri si aggiungono quelli inventati, in una rilettura i cui referenti dichiarati sono Depero, Dudovich, Bonnard, Lautrec, Cappiello, ma anche Pino Pascali, il già citato Campani, Gino Gavioli, Carlo Perogatt Peroni, Armando Testa… È una passione, quella di Aguinaldo Perrone, nata da ragazzino, un bambino di dieci anni che nel cuore di Bari vecchia resta incantato davanti alla drogheria di Don Peppe, una sorta di caverna incantata piena di tesori in forma di réclame. «Di cartoncino, affisse ai muri, o appiccicate al vetro della grande porta d’ingresso. Ricordo la Brillantina Linetti, la Idriz, la Gillette, l’Omo bianco, l’Idrolitina… E ricordo le salumerie con rèclame riprodotte su grandi specchi: il burro Optimus, la pastina glutinata Buitoni, il Guttalax».Ha inizio da allora un’infinita collezione mentale di immagini pubblicitarie dove il messaggio consiste nell’effetto comunicativo, puro esercizio di artisti prestati alle nuove esigenze commerciali. Nel tempo, questo universo si è trasformato in una sorta di memoria, resa astorica grazie alla genialità di un tratto che continuamente reinventa il passato nel presente, proiettandolo in una dimensione atemporale dove il vero e il falso vanno a braccetto. Scrive Carmelo Calò Carducci, collezionista d’arte a cui si deve la prefazione del volume, che nelle provocazioni artistiche di Aguinaldo Perrone «forse sarà possibile riscoprire un mistero arcano: la cosiddetta serietà del mondo economico, se rivestita di sorrisi e di equilibrata e divertente armonia, può meritare di essere ancora scelta e non subita». Una sorta, se si vuole, di «consumismo dal volto umano», il più adatto al tempo di crisi in cui ci troviamo a navigare.