Ha appena 42 anni l’avvocato barese Aguinaldo Perrone, ma già teme di perdere il fanciullino che è in lui. Così gli anni Settanta, anni di piombo per noi matusalemme, sono per la sua generazione, il tempo meravigliante dell’infanzia: quando occhi ingenui, ma disponibili al fantasticare scoprivano, magari in una bottega di Bari vecchia, le icone ancor più remote dell’archeolo gia massmediale. Quelle dei favolosi anni Cinquanta: gli anni del miracolo italiano, quando l’universo delle merci veniva scoperto nelle forme allegre dei manifesti, negli eroi buffi dei Caroselli della tv in bianconero, nelle prime insegne al neon di elementari luci bianche, azzurre, rosse. In verità, la grafica pubblicitaria nel nostro Paese aveva conosciuto la sua prima stagione modernista intorno agli anni Venti. Quando il futurismo (di cui si va celebrando il centenario della nascita marinettiana con rituali di ipocrito bigottismo) dava il meglio di sé non più nella pittura «alta» ma nella esaltazione della comunicazione mediatica. In particolare, la lettura scanzonata del macchinismo operata da Depero in chiave pubblicitaria, il suo geniale ritagliare nel legno dei boschi trentini l’architettura squadrata degli alfabeti Bauhaus, la reinvenzione seriale delle marionette da commedia dell’arte, agirono certamente come antidoto ludico al monumentalismo del tempo fascista
Un simile modernariato di tempi diversi, trasmesso e contaminato per vie carsiche ha nutrito la fertile fantasia di Aguinaldo. Divenuto adulto, ha voluto darle sfogo riesumando e reinventando – con ironia goliardica che esorcizza la nostalgia – quel mondo di immagini moltiplicate. Si è dato una doppia identità (per distinguere la «professione» dal «diletto») accorciandosi il nome (troppo) eroico impostogli dal (troppo) dotto genitore, il nostro autorevole storico Nico Perrone. Sono firmati dunque Aguin (alla maniera dei caricaturisti di primo Novecento) i disegni profusi in entusiastica copia negli ultimi anni, ma i primi risalgono addirittura al 1993. Sono stati esposti in occasioni recenti, ora sono raccolti in agile book, con una «confidenza» dell’autore e alcune testimonianze. Ritroviamo – sfogliando le pagine da catalogo – Vov, Idriz, Fernet, Cora, Ingram, Motta, Barbisio, Aspirina, eccetera: la vita nascente del consumo tradotta in marchi. Rivivono, appunto, come personaggi: la trovata di Aguin è di riscrivere «a mano libera» le insegne, scomporre in caos geometrizzante le lettere e gli schizzi degli oggetti, e frullarli in parodie di dinamismi futuristi. Ma con l’effetto finale di evocare affettuose sagomine di omini, pupazzi, clown, donne fatali, che danzano schizzano e sognano fra bollicine e stelline, lune e saette.